Penna&Calamaro - N° 0014
Della serie: Una storia - Fantasia
La finestra che dava su Fifth Helena Drive era spalancata e la tenda ondeggiava leggiadra a ogni soffio del vento. L’orologio sul muro segnava qualche minuto prima delle tre e la casa era completamente immersa nell’afoso buio di Agosto. Un lieve raggio di luce artificiale penetrava dall’esterno attraverso gli spiragli che le erano possibili e illuminava quel tanto che bastava il corpo di Norma Jeane steso sul letto. Indossava un bellissimo completo intimo dalle forme abbastanza ridotte che non pareva essere stato indossato per nascondere più del dovuto le sensuali curve della donna. I suoi polsi e le sue caviglie era legati ai quattro angoli del letto da manette di tessuto resistente. Il suo sguardo era perso nel vuoto e sembrava non capire precisamente cosa le stesse succedendo.
Distingueva perfettamente le due figure in piedi al capezzale del suo letto ma non riusciva a riconoscere chi fossero.
«Non si agiti signora Mortenson Baker» disse la voce di una delle due figure. «Pur sforzandosi non potrà mai essere completamente padrona di sè stessa. L’abbiamo drogata mentre stava dormendo e ora ne sta sentendo l’effetto». Mentre concludeva la frase, si tolse il cappello, poggiò il lungo bastone che lo sorreggeva al muro e si sedette sul letto.
«Chi… chi siete?» chiese Norma in lacrime, biascicando quelle parole come meglio le fosse possibile.
Provò più volte a divincolarsi ma era saldamente incatenata al proprio letto.
«Non credo che le sia dovuta una spiegazione!» sentenziò l’uomo.
L’altra figura ancora in piedi sospirò e poi parlò con una voce femminile monotòna e profonda: «Avanti Ankou! Questa donna sta morendo. È disperata. Eravamo stati chiari ed eravamo tutti d’accordo. Avrà il diritto di sapere cosa le sta succedendo, no?».
La figura seduta guardò con palese disgusto l’altra e, alzando platealmente il tono della voce, le disse «Nefti cara… La volubilità emotiva di voi donne è il motivo per cui solitamente evito di portarmi una di voi in missioni così delicate!».
La snella figura ai piedi del letto non sembrò essere turbata dalle parole ricevute e, con un garbo quasi regale, rispose: «Trovo interessante che un “ragazzino“ parli così male di una donna. Ero qui quando tu stavi ancora muovendo i primi passi. Abbi rispetto!»
Norma seguì il battibecco con non poche difficoltà e cercava di capire chi fossero quelle persone. I biondi capelli disordinati le davano fastidio sul viso e più volte cercò di sistemarli soffiandoli via. Nefti si avvicinò alla donna raggiungendola dall’altra parte del letto e, come fatto poco prima dal suo collega, le si sedette accanto. Con un gesto quasi materno le scostò i capelli dal volto e le sorrise. Non appena furono tutti e tre illuminati, Norma poté finalmente vedere le loro facce e i loro lineamenti.
La donna era caratterizzata da una bellezza quasi ancestrale. I lunghi capelli lisci e neri come la pece le cadevano elegantemente sulle spalle e i due occhi profondi erano esaltati dalla precisione di un trucco dalle forme allungate. Le labbra sembravano dipinte dal migliore dei pittori e la spessa collana dorata impreziosita dagli intagli blu armonizzava la perfezione di un seno appena accennato sotto il vestito.
L’uomo era ingobbito su sé stesso e imbronciato anche nei momenti di riposo. L’eccessiva magrezza lo rendeva quasi uno scheletro e la pelle grigiastra era perfettamente coordinata con gli abiti che gli morivano addosso. Una barba leggermente incolta era tutto ciò che dava dinamicità a un volto apparentemente anonimo.
«Scusalo! Noi siamo Nefti e Ankou!» disse la figura femminile accompagnando i nomi dal gesto della propria mano. Prima indicò sé stessa e poi l’altro. «Siamo qui per svolgere la nostra missione.».
«Missione? Cosa volete da me? Volete dei soldi? Quale missione?»
«Abbiamo l’incarico di vegliare sulla vita, riportare ogni figura al suo posto e rimediare a un errore!»
Norma apparì un po’ confusa e guardò entrambi in cerca di dettagli che sperava sarebbe piovuti dal cielo da lì a poco.
«Non ha idea neanche di che cazzo stiamo parlando!» disse Ankou in tono acido, indicandola con il braccio steso e il palmo aperto. «Non sa chi è e non sa che cosa ha fatto. Stiamo solo perdendo tempo!»
«Il tempo non è un problema per noi… soprattutto per noi due.» ribatté l’altra che poi riprese a parlare con la donna. «Sappiamo che per te può essere tutto così confuso e ci scusiamo ma dalle nostre parti funziona così. Siamo destinati a morire per poi ritornare in altri luoghi e in altre forme. Non tutti possono ricordarsi il proprio passato mentre altri, più fortunati, mantengono per l’eternità la propria esistenza.»
«Chi siete?» chiese nuovamente Norma sforzandosi di mantenersi sveglia.
«È una bella domanda. Siamo quelli che normalmente la gente chiama “divinità“… O qualcosa di simile… Dipende dal luogo e dalle epoche». Sorrise per enfatizzare le ultime parole. Notando la perplessità nella faccia della sua interlocutrice, continuò: «Siamo impersonificazioni di concetti astratti. Nasciamo quando c’è l’esigenza di venerare qualcosa e cadiamo nell’oblio quando non abbiamo più motivo di esistere. Viviamo cicli infiniti di nascita e morte tornando sotto varie forme. È per questo che non ricordi nulla del tuo passato.».
Per Norma era davvero complesso seguire il discorso e l’effetto della droga le faceva sembrare tutto un enorme sogno. O, per meglio dire, un tremendo incubo.
«Avete sbagliato! Ne sono sicura! Non sono la persona che cercate!»
«Come se noi venissimo scomodati per una persona!». Il tono di Ankou era palesemente infastidito e provocatorio. «Quelle sono cose da divinità minori. Noi non siamo Zeus che si scopa ogni singola campagnola che gli capita a tiro! E poi smettila di agitarti. Quelle corde non si spezzeranno mai!»
«Quello che lo zotico sta cercando di dirti è che tu non sei una persona comune, Norma. Sei una di noi. O meglio, la nuova impersonificazione di una di noi. Sei una di noi che ha dovuto adeguarsi ai tempi!»
Il volto della donna bionda era completamente ricoperto di lacrime e cercava di divincolarsi ogni volta che le era possibile.
Continuò comunque a fare domande per capire chi fossero quelle persone e cosa volessero.
«Cosa volete da me? Cosa ho fatto?».
«Siamo qui per ovviare a un tuo errore, mia cara.».
«Cosa ho fatto?» ripeté nervosamente.
«Hai ingenuamente creduto di essere una persona comune che ha dato il suo corpo a un’altra persona ritenuta comune.».
«Non capisco!». L’espressione di Norma era veramente confusa e il panico la stava divorando sempre di più.
«Sei una dea, Norma. Sei tornata sotto questa forma per adeguarti alle preghiere della società odierna. Sei stata Inanna, Afrodite, Lada, Hathor, Venere e mille altre. Hai assunto tanto nomi e tante forme. Oggi sei qui. Sei tornata con questa forma ed hai scelto per te il nome di Norma Jeane Mortenson Baker. Hai scelto che la gente ti venerasse con il nome di Marilyn Monroe! E con quel nome verrai ricordata!»
Un lungo momento di silenzio rimase sospeso nell’aria e un freddo glaciale calò sulla donna nonostante il caldo estivo.
«Io…».
«Tu non capisci! Sì! Un classico!».
«Non essere infantile Ankou. Noi divinità della morte non sappiamo cosa significhi non riconoscersi. È un passaggio che ci è stato negato.».
«Io…».
«Sì, Norma?».
«Perché siete qui? Cosa volete da me?».
«Te l’ho detto. Hai giaciuto con la persona sbagliata.».
«Zeus?».
«Oh! Ma per favore! A quel vecchio coglione non gli funziona più neanche se se lo scambia con Priapo!» e fece un gesto plateale stringendosi il pacco con la mano.
«Ankou, ti prego… No. Non è Zeus, fortunatamente per te…».
«E allora chi è stato?».
I due si guardarono a lungo indecisi se quell’informazione potesse essere rivelata. Ankou sollevò il lato del labbro e arricciò il naso per mostrare la propria contrarietà ma tirò in alto le spalle per ribattere che comunque sarebbe stata la stessa cosa. L’altra ci pensò e decise che una donna morta non avrebbe potuto costituire nessun pericolo.
«Sappiamo cosa hai fatto. Sappiamo che hai avuto un amante.»
«Robert?» chiese stupita Norma con un velo di vergogna.
Nefti fece un cenno negativo con la testa.
«Suo fratello John?» chiese ancora più stupita.
Nefti acconsentì con la testa.
«John Fitzgerald Kennedy è uno di noi tanto quanto lo sei tu. È rinato per impersonificare l’ideale della politica di questa epoca e di questo Paese.»
Nefti iniziò a sentire il corpo di Norma cedere sotto la propria mano. Non mancava molto e quelle sarebbero state le loro ultime battute.
«Aspetti un bambino.». Rimase un attimo in silenzio per lasciare che tutti metabolizzassero la notizia. «Quel bambino è il bambino di John. Purtroppo, mia cara, questo non lo possiamo permettere. I figli puri delle nuove divinità nascono maledetti dall’Hybris. Lo abbiamo già visto diverse volte in passato. La mancanza del nostro intervento ha portato a nefaste conseguenze. Mi dispiace… Davvero… Siamo stati costretti. Solo così avremmo potuto evitare conseguenze e ripercussioni.».
Il pallido volto di Norma si stava lentamente spegnendo. La reazione delle sue espressioni era ormai inesistente. I piccoli movimenti degli occhi dietro le palpebre chiuse erano tutto ciò che distingueva quel corpo inerme da un corpo morto.
Entrambe le figure si alzarono dal letto all’unisono per lasciare la stanza. La figura femminile si piegò un’ultima volta sul letto e baciò la fronte del cadavere.
«Addio sorella!». Una lacrima le attraversò la guancia illuminata dalla luce. «Tornerai sotto un’altra forma. Non mancherà molto. Allora, e solo allora, potremo riabbracciarci.».
Ankou si mise il cappello in testa, si riappoggiò al suo bastone, guardò per l’ultima volta verso il letto e si rivolse alla compagna: «Ho sistemato i barbiturici sul comodino. Sembrerà un incidente come avevamo concordato. Tu ti sei accertata di fare tutte le telefonate che dovevi fare?».
«Non sono una novella!»
«Hai usato la sua voce per far credere di essere lei?»
«Andiamocene. Ci manca solo che tu debba insegnarmi come fare il mio lavoro.»
***
La canna del fucile di precisione sporgeva dalla finestra del sesto piano quel tanto che bastava per essere sicuro che il colpo sarebbe arrivato con certezza a destinazione. L’uomo dai capelli rossicci, tipici dei Kennedy, tirò un calcio alla persona legata e imbavagliata all’angolo della stanza.
«Tra un po’ avrai dimenticato tutto, Lee» disse mentre si sistemava il ciuffo. «Quella cazzo di auto ora girerà l’angolo e sarà tutto finito!».
La limousine presidenziale girò l’angolo alle 12:30 come da programma. Robert chiuse l’occhio sinistro e posizionò il destro davanti al mirino. Prima di fare un lungo respiro e trattenere il fiato disse tra sé e sé: «Scusa fratello… Hai scelto la donna sbagliata. A quanto pare è così che si risolvono le cose tra di noi! Questo é per Marilyn!».
Il colpo raggiunse la testa del presidente davanti alle telecamere di tutto il mondo.
Roberto lasciò cadere l’arma per terra e si avvicinò all’uomo imbavagliato. Gli liberò la bocca e gli sorrise.
«Chi cazzo sei?» gridò l’uomo appena fu libero.
Robert gli pose la mano sulla testa e, con un velo di pazzia sugli occhi gli disse: «Puoi chiamarmi Zelos. Puoi chiamarmi Ikiryo. Puoi chiamarmi “Il prossimo Presidente“. Dammi il nome che vuoi. Non importa. Sono solo qualcuno che ha vendicato un torto. Per molti sono semplicemente il dio della gelosia. E tu, amico mio, adesso riceverai un po’ di nuovi ricordi! Posso fare tante cose e ho grandi progetti per te!». Lee Harvey Oswald sentì una forte scossa partire dalla mano di quell’uomo e scuotergli la testa fin dentro al nucleo del suo cervello. Percepì che qualcosa stava accadendo e cadde al suolo tramortito.
Quando la polizia raggiunse Lee, quest’ultimo tentò di difendersi. Una volta arrestato e portato in cella fu identificato come l’assassino di John Fitzgerald Kennedy e, fino alla sua morte, fu convinto anche lui di esserlo sempre stato.
Per chi volesse approfondire:
Postfazione
Questo racconto era in cantiere da tantissimo tempo. Era una bozza salvata e lasciata lì a decantare (come accade per molti altri contenuti, in realtà). Avevo bene in mente dove volessi andare a parare e cosa dovesse accadere ai personaggi ma mi serviva un movente valido per far muovere tutti all’interno della storia. Volevo evitare i classici agenti segreti che operano per conto di oscure manovre politiche e volevo puntare ad altro. L’illuminazione mi ha raggiunto quando, mesi fa, ho finito di leggere “American Gods“ di Neil Gaiman.
L’idea che gli dei si muovano ancora sulla terra era in realtà presente nella bozza di un’altra storia che avevo nel cassetto. Ho deciso così di cestinarla per usarla in questa. Ho perso una storia, è vero, ma ho guadagnato la possibilità di realizzare qualcosa che mi è piaciuto tantissimo scrivere.
Ho letto molto prima di creare la trama perché mi serviva che ogni riferimento fosse coerente con la storia reale di quanto accaduto nelle misteriose morti di Marilyn Monroe e di John Fitzgerald Kennedy. Ho appositamente lasciato alcuni link di approfondimento utili per chi non conosca le dinamiche e voglia un’infarinatura di tutto.
Spero che leggere questa storia sia piaciuto a voi tanto quanto è piaciuto a me scriverla.